Gli Arditi sono le prime forze speciali (Reparti d’Assalto) dell’arma di fanteria del Regio Esercito italiano costituite durante la Grande Guerra del 1915-1918. La loro nascita dà una scossa alla logorante e statica guerra di trincea rivoluzionandone le modalità operative.
INDICE
- La Fondazione dei Reparti d’Assalto
- La Scuola degli Arditi
- L’Addestramento degli Arditi
- L’Uniforme degli Arditi
- Il Distintivo degli Arditi
- Le Fiamme Nere
- Il Fez Nero
- Le Armi degli Arditi
- Simboli e Motti degli Arditi
- Le Imprese degli Arditi
- Fonti Bibliografiche
La Fondazione dei Reparti d’Assalto
La nascita degli Arditi è dovuta da un lato al risultato delle sperimentazioni di alcuni brillanti ufficiali italiani stanchi della guerra di trincea, dall’altro alle informazioni carpite al nemico (gennaio 1917) sulla formazione nelle file austro-ungariche di speciali truppe d’assalto (Sturmtruppen) mutuate dall’esercito tedesco.
A seguito di questa scoperta, il 14 marzo 1917 il Comando Supremo invia la circolare n.6230 in cui comunica ai Corpi d’Armata l’esistenza di questi reparti d’élite austro-ungarici:
“Comunico alcune notizie relative alla costituzione ed all’impiego dei riparti d’assalto presso l’esercito austro-ungarico, affinché la conoscenza dei metodi d’azione seguiti dall’avversario offra il mezzo, non solo di opporvisi con adeguati procedimenti, ma altresì di adottare, ogni qual volta se ne presenti la convenienza, analoghi sistemi. (…)
I metodi seguiti dal nemico vanno però tenuti presenti non solo per provvedere in guisa da renderli inefficaci; ma altresì per adottarli, a nostra volta, ove condizioni favorevoli di tempo e terreno lo consiglino. E pertanto i comandi di armata e della zona di Gorizia dispongano perché i metodi stessi trovino pratica applicazione, sia in speciali azioni simulate – durante i periodi di addestramento della truppa contemplati delle circolari 1700 del 22 gennaio e 2540 del 31 stesso mese, di questo comando – sia nelle operazioni, convenientemente armonizzando l’impiego dei militari arditi e degli elementi specializzati a seconda delle circostanze e dello scopo da raggiungere, senza, beninteso, addivenire a modificazioni di carattere organico nelle unità.”
Questa circolare fa evolvere l’Ardito da semplice qualifica per atti di valore compiuti durante il servizio in trincea a militare selezionato tra i migliori del proprio reparto e destinato ad un corso speciale al fine di apprendere tecniche d’assalto e colpo di mano contro posizioni fortificate, di lotta corpo a corpo e di impiego di varie tipologie di armi.
A distanza di pochi mesi prende piede l’idea di riunire i frequentatori di tali corsi speciali in reparti organici autonomi, alle dirette dipendenze di grandi unità, sancendo così una netta distinzione dalle Sturmtruppen avversarie.
Il 26 giugno 1917 il Generale Carlo Porro – Sottocapo di Stato Maggiore – invia una circolare riservatissima (n° 111660 di Protocollo R.S. con oggetto “Riparti d’assalto”) all’attenzione dei Comandi delle Armate 1^, 2^, 3^ , 4^ e 6^:
“Con riferimento a quanto ho già avuto occasione di far presente colla circolare N°6230 del 14 marzo 1917 (U.A.V.S.) e a complemento delle disposizioni date circa l’impiego dei militari arditi, presso ciascuna armata si dovrà costituire per cura dell’armata stessa, a datare dal 1° luglio p.v., uno speciale riparto d’assalto formato, per ora, da soli elementi volontari, tratti a preferenza dalle unità di bersaglieri dell’armata, coll’avvertenza che le sottrazioni all’uopo necessarie non vengano a danneggiare la compagine della singola unità, riducendo eccessivamente in talune di esse l’elemento che ora costituisce la parte più solida.”
Sempre la suddetta Circolare dà ai Comandi d’Armata precise informazioni in merito ai criteri di organizzazione, selezione e armamento di tali Reparti d’Assalto:
“Il riparto in parola, inizialmente di forza corrispondente almeno alla compagnia ed aumentabile in avvenire fino alla forza di un battaglione, dovrà far parte di uno dei reggimenti bersaglieri dell’armata ed essere considerato per ora in tutto, come una nuova unità di quel reggimento. Ad esso dovrà essere preposto un capitano anziano scelto fra coloro che per audacia, intelligenza, fermezza e ascendente sul soldato danno maggiore affidamento di poter imprimere nel riparto l’ardimento, l’avvedutezza e la disciplina indispensabili per condurre bene a termine le operazioni che gli saranno affidate, e quel numero di subalterni anch’essi volontari, che sarà mano a mano consigliato dall’aumento progressivo della forza del reparto stesso.
Il riparto sarà per cura di questo comando fornito di mitragliatrici Fiat, pistole mitragliatrici con sostegno Br. Bari, lancia torpedini Bettica, lancia bomba, lanciafiamme individuali e telefoni di pattuglia, nella quantità che progressivamente verrà a risultare opportuna, in proporzione alla forza e alle norme di impiego che saranno date da questo comando, e alle richieste che saranno qui fatte ed avrà i corrispondenti mezzi di trasporto, possibilmente meccanico.
L’armamento individuale comprenderà in massima un moschetto, un coltello e da 6 a 8 bombe a mano; inoltre ogni militare di truppa avrà una pinza taglia filo, un piccozzino e gli altri mezzi di equipaggiamento, e anche di vestiario, che l’esperienza potrà suggerire (…).”
La 2^ Armata del generale Capello si dimostra la più sollecita a mettere in pratica le richieste del Comando Supremo a causa dei risultati positivi ottenuti in azione dai plotoni speciali della brigata Lambro e della 48^ Divisione.
La Scuola degli Arditi
La scuola delle truppe d’assalto viene affidata al neopromosso tenente colonnello Giuseppe Bassi che sceglie come sede la zona collinare di Sdricca, sopra Manzano, un paese a metà strada tra Udine e Gorizia. Qui confluirono tutti i volontari della 2^ Armata, dando vita al I° Reparto d’Assalto, formato da una compagnia di bersaglieri e due compagnie di fanteria.
La scuola viene ufficialmente inaugurata il 29 luglio 1917 alla presenza del Re Vittorio Emanuele III, del principe di Galles, del principe ereditario del Belgio, del generale Cadorna, del generale Capello, del comandante della 3^ Armata Emanuele Filiberto duca d’Aosta, di ufficiali italiani e stranieri addetti al Comando Supremo e di molti giornalisti.
Agli ordini del capitano Maggiorino Radicati da Primeglio la 1^ compagnia del reparto dimostra la nuova tecnica di combattimento con la presa della cosiddetta “collina tipo” e di una caverna con aggiramento, destando l’ammirazione di tutti i presenti.
Nei mesi successivi vengono formati altri cinque reparti, mentre numerosi ufficiali vengono inviati a Sdricca per apprendere le tecniche di addestramento degli Arditi e avviare a loro volta la creazione di Reparti d’Assalto presso le proprie armate.
Borgnano, piccolo borgo situato tra Medea e Cormons, a pochi chilometri dall’Isonzo, diventa l’equivalente di Sdricca di Manzano per la 3^ Armata.
L’Addestramento degli Arditi
L’addestramento dei nuovi Reparti d’Assalto – della durata di 2-4 settimane – è estremamente impegnativo e studiato fin nei minimi dettagli. Questo comprende sia attività individuali come esercizi ginnici, combattimenti corpo a corpo, prove di coraggio e prontezza di riflessi, sia azioni coordinate di gruppo con uso di bombe a mano sotto l’arco di fuoco di mitragliatrici e cannoni (non rari sono i feriti e – seppur in numero minore – i morti). La prova finale per conseguire il brevetto di Ardito è la fedele riproduzione di una vera operazione d’assalto a posizioni trincerate.
Agli Arditi – in cambio della decisione volontaria di affrontare tali rischi sia in addestramento che durante le reali operazioni di combattimento – vengono concessi vari privilegi: un migliore trattamento economico, licenze premio, rancio ricco ed abbondante, alloggiamenti comodi nelle retrovie, nessun servizio di trincea e di corvè.
L’Uniforme degli Arditi
Anche l’uniforme viene accuratamente studiata dal Bassi in modo da essere funzionale e distintiva. La giubba scelta è quella dei bersaglieri ciclisti, modello 1910, ma a “collo risvoltato e aperto” per permettere una migliore aerazione del corpo. Questa giubba sulla schiena presenta inoltre un’ampia tasca alla “cacciatora” per i petardi o le bombe a mano. Gli altri elementi del vestiario sono: maglione a girocollo in lana a coste o camicia grigio-verde in flanella con cravatta nera, pantaloni leggeri al ginocchio da alpino o bersagliere ciclista, fasce mollettiere (spesso sostituite dai più comodi calzettoni di lana a coste) e scarponcini modello 1912 sia per armi a piedi che per alpini con bullette sulla suola.
Il Distintivo degli Arditi
Altro elemento caratteristico è il distintivo da braccio, cucito sulla manica sinistra a metà tra la spalla ed il gomito, adottato con la circolare n.455 del luglio 1917: un gladio romano, simbolo di onore e coraggio, con pomolo a testa di leone, simbolo di forza, o a testa d’aquila, simbolo del potere, iscritto tra un serto d’alloro a sinistra, simbolo di vittoria e una fronda di quercia a destra, simbolo di lealtà e forza. Il nodo Savoia lega i rami all’arma sulla cui guardia campeggia il motto sabaudo FERT. Di tale motto – comparso per la prima volta sul collare dell’Ordine del Collare, fondato nel 1364 da Amedeo VI di Savoia – sono incerti sia il significato sia l’origine.
Nel corso del tempo si sono sviluppate varie interpretazioni:
- Per alcuni è l’acronimo latino di “Fortitudo Eius Rhodum Tenuit” ovvero “la sua forza preservò Rodi”, in riferimento a un episodio leggendario – ma privo di qualsivoglia base storica – riguardante Amedeo di Savoia.
- Per altri è la terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo latino fero. Nel significato esteso di “sopportare” in associazione al nodo Savoia che allude alla indissolubilità del legame del cavaliere alla sua dama, farebbe riferimento a una caratteristica dell’ordine cavalleresco e della monarchia sabauda.
- Altra spiegazione è che si tratti dell’accorciamento dell’antica parola “Fertè”, che significa “Fortezza”.
Il distintivo è ricamato a macchina o a mano in canottiglia dorata per gli ufficiali, argentata per i sottoufficiali e in filo nero per la truppa. Lo sfondo è sempre in panno grigio-verde, ad eccezione di quello destinato all’uniforme da cerimonia, dove lo sfondo è nero.
Le Fiamme Nere
Dal 16 agosto 1917 vengono introdotte le mostrine di colore nero a due punte, da cui il termine “Fiamme Nere” con cui vengono spesso indicati gli Arditi stessi. La scelta del nero è un omaggio del Bassi al patriota risorgimentale Pier Fortunato Calvi – suo bisnonno per parte di madre – solito indossare una cravatta nera, simbolo dei carbonari veneziani che hanno liberato Manin e proclamata nuovamente la Repubblica Veneta. Dopo aver combattuto gli austriaci in Cadore nel 1848, il Calvi viene impiccato a Mantova nel 1855 per aver capeggiato un altro tentativo di rivolta in quella zona.
Il nero non è stato l’unico colore degli Arditi, infatti vengono mantenute le mostrine cremisi nei reparti costituiti da Bersaglieri e verdi nei reparti Alpini.
Il Fez Nero
Nel libro “Misticismo eroico” di Luigi Emanuele Gianturco si trovano invece narrate le origini del fez nero, altro simbolo tipico degli Arditi. L’idea è del maggiore Domenico Ottanelli comandante dell’XI° Reparto d’Assalto alle dipendenze del generale Cattaneo. Durante una sosta nei dintorni di Villafranca di Verona, l’Ottanelli si procura dai magazzini di rifornimento di Mantova (deposito del 7° Bersaglieri di Brescia e dal reparto Bersaglieri di Verona) 1.200 fez cremisi. Decide però di volerli neri come il colore scelto per le truppe d’assalto.
“Un giorno che anch’io avevo fatto una scappata a Milano, tra i compagni di viaggio in treno c’era un industriale fiorentino col quale stavo appunto trattando l’argomento della tintura dei fez. La cifra occorrente, anche se modesta, oltrepassava il mio stipendio mensile, e francamente mi dispiaceva rimandar la cosa alle lunghe. Breve: l’industriale, preso dal mio entusiasmo, decise di tingerli gratis. L’abbracciai dalla gioia. Due Arditi scortarono a Firenze i sacchi dei berretti rossi e li riportarono neri.”
Superate le difficoltà di far accettare agli Arditi il nuovo copricapo, rimane il regolamento disciplinare che vieta l’alterazione del colore e della foggia militare. Tuttavia il 24 maggio 1918 il XII° Corpo d’Armata organizza una gara alla quale partecipano anche gli Arditi di Ottanelli con il loro nuovo fez nero. L’innovazione viene inizialmente accolta con diffidenza, ma a gara ultimata il capo di Stato Maggiore del Corpo d’Armata assieme al generale Cattaneo ne approvano l’uso purché limitato ai soli accantonamenti.
Con la costituzione della I^ Divisione d’Assalto il generale Zoppi – comandante della stessa – ufficializza e consacra a tutti gli effetti l’utilizzo del fez nero.
Le Armi degli Arditi
L’arma principale degli Arditi è il pugnale, adatto a colpire silenziosamente il nemico, meno ingombrante della baionetta ed ideale nei combattimenti corpo a corpo negli angusti spazi delle trincee. Questo può essere di tipo regolamentare oppure a “manico di lima”. Entrambi sono ottenuti dall’accorciamento e riutilizzo delle baionette del vecchio fucile Vetterli-Vitali – modello 1870 – ormai troppo lunghe per le nuove esigenze della guerra di trincea. Il pugnale ha una lunghezza complessiva di 28 cm, di cui 18 cm di lama. Gli Arditi non disdegnano inoltre di dotarsi anche di pugnali personali o sottratti al nemico.
L’altro armamento indissolubilmente legato agli Arditi è il petardo offensivo Thévenot di progettazione francese. Di forma cilindrica e del peso di 400 grammi, ha una detonazione molto rumorosa capace di stordire l’avversario. Le schegge hanno un raggio limitato a 5-10 metri e non sono letali. Questo permette agli Arditi di correre verso il punto dell’esplosione.
Per quanto riguarda le armi da fuoco, gli Arditi preferiscono armi leggere, automatiche e di dimensioni contenute. Il moschetto loro assegnato è il ’91 “Truppe Speciali” oppure il “Cavalleria”. Oltre a mitragliatrici e lanciafiamme, vengono dotati di pistole-mitragliatrici Villar-Perosa 9×19 mm Glisenti e le lancia torpedini Bettica, poi sostituite dai più moderni Stokes di fabbricazione inglese. Infine la pistola semiautomatica Beretta modello ’15 calibro 9 mm.
Simboli e Motti degli Arditi
Gli Arditi – caratterizzati da uno spiccato spirito di corpo – fanno propria una forte e ampia simbologia costituita da teschi con o senza tibie – a volte col pugnale tra i denti – quasi a voler sfatare la paura della morte, quasi ad irriderla.
Insieme a questa vi sono i motti, come il “Me ne frego”, “A Noi” oppure “Messe” (grido di battaglia del IX° Reparto d’Assalto in onore del loro comandante Giovanni Messe) e le canzoni, con le quali usano annunciare il proprio passaggio. Oltre alla famosissima “Giovinezza”, un altro fra i più famosi stornelli recita così:
“Se non ci conoscete guardateci dall’alto,
noi siam le Fiamme Nere dei battaglion d’assalto!
Bombe a man e colpi di pugnal!
Se non ci conoscete guardateci i vestiti,
noi siam le Fiamme Nere dei battaglion arditi!
Bombe a man e colpi di pugnal!
Se vuoi trovar l’Arcangelo da fante travestito,
ricercalo a Manzano e troverai l’ardito!
Bombe a man e colpi di pugnal!
Se Pecori Giraldi vuol fare un’avanzata,
ricorrerà agli Arditi della seconda armata!
Bombe a man e colpi di pugnal!
Se non ci conoscete guardateci dai passi
noi siamo gli arditissimi del colonnello Bassi!”
Le Imprese degli Arditi
In poco più di un anno di vita i Reparti d’Assalto del Regio Esercito guadagnano un rispetto senza pari presso le truppe nemiche grazie alla determinazione e allo sprezzo del pericolo che dimostrano su tanti campi di battaglia del fronte italiano (ma anche su quello francese e macedone). Basti ricordare le loro imprese nei seguenti teatri di guerra: Carso, Bainsizza, San Gabriele, città di Udine, Monte Valbella, Col del Rosso e Col d’Echele, Monte Corno, Monte Grappa (Monte Pertica, Monte Asolone, Cà Tasson, Monfenera, Col del Cuc, Solaroli, Col Moschin, Col Fagheron, Col Fenilon, Col della Berretta), zona del Piave (Fagarè, Zenson, Fossalta, Fosso Palumbo, Monastier, Musile, Castaldia, Caposile, Grisolera, Cortellazzo), Giavera, Montello, Falzè, Moriago, Fontigo, Sernaglia, Vittorio Veneto.
Fondamentale il loro apporto nella Battaglia finale di Vittorio Veneto, quando aprono la strada alle fanterie.
In ogni loro battaglia si sono colmati di fama, gloria e ammirazione, ottenendo ben 3.487 riconoscimenti ufficiali suddivisi in:
- 20 medaglie d’oro al valor militare
- 1.471 medaglie d’argento al valor militare
- 1.488 medaglie di bronzo al valor militare
- 508 croci di guerra
Vengono decorate anche molte delle loro bandiere: oro al XXIII°, argento al II°, IX°, XVIII°, XXVII°, XXVIII°, LXXII°, 3° Gruppo Assalto (VIII° e XXII°), bronzo al VI°, XI°, X°, XXVI°, XXIX°, 1° Gruppo Assalto (X° e XX°) e 2° Gruppo Assalto (XII° e XIII°).
Notevole però anche il loro tributo di sangue. Si stimano oltre 3.000 caduti su un totale di circa 30-35mila unità complessive nell’intero periodo di guerra.
Gli Arditi generano al contempo ammirazione e terrore, poiché molte delle storie di cui sono protagonisti – a furia di essere rimaneggiate – finiscono con l’acquistare quella sorta di orrida bellezza che affascina le genti.
Non si diventava Ardito in base ad una selezione fisica, la selezione è puramente morale e si compie spontaneamente nell’atto stesso del “volontarismo”. Si entra negli Arditi perché si è Arditi. Nei Reparti d’Assalto a fianco all’Ercole – capace di rovesciare una montagna – si trova l’adolescente mingherlino che sembra doversene volar via ad ogni alito di vento.
Proprio al fine di sottolineare e diffondere i valori fondanti di un soldato Ardito, nell’estate del 1918 il tenente generale Francesco Saverio Grazioli scrive il Decalogo dell’Ardito.
Fonti Bibliografiche
- Mucelli Antonio: Luigi Freguglia – XXVII Battaglione d’Assalto – Gli eroi del Montello | Itinera Progetti (Ristampa dell’ed. del 1937, riveduta ed ampliata), Giugno 2017